Domande intervista ai Giovani Artisti
di Serena Di Giovanni
Igor Spadoni: “Igor, per quanto mi riguarda, dal punto di vista iconografico la tua opera è una delle più interessanti, perché associa la figura femminile alla cynara cardunculus, vale a dire al ‘carciofo’. Ma “cynara”, come saprai, era anche la ninfa amata da Zeus e in seguito da egli stesso trasformata in carciofo proprio per non averlo ricambiato. La tua Cynara, tuttavia, ha delle caratteristiche molto precise. Innanzitutto, è una donna anziana e, in secondo luogo, ha dei connotati ritrattistici evidenti. La prima domanda è: perché quest’associazione iconografica? E la seconda, connessa proprio agli elementi tipologici di cui ti parlavo, è la seguente: per la realizzazione di Cynara ti sei avvalso di una ‘musa ispiratrice?
- S. Come spesso accade nella contemplazione di un’opera, essa viene assorbita e codificata da ogni singolo osservatore attraverso la propria capacità percettiva, la quale varia per epoca, cultura e sensibilità. La sua prima lettura, dottoressa Di Giovanni, ha infatti riportato alla luce il mito di Cynara, la ninfa corteggiata da Zeus.
Parlando però della mia personale Cynara, essa corrisponde all’immagine della madre di mia nonna.
Ho scelto di dedicarle questa opera in memoria del giorno in cui imparò a scrivere assieme a sua figlia il proprio nome. Tale intimo e sociale traguardo è sottolineato dalla penna che Cynara tiene nella mano destra e dai carciofi, trono di un’ignoranza superata, di un appellativo “la carciofara” dal quale Sisti Rosa (Cynara) si è liberata.
Nunzia Pallante: “Nunzia, la tua opera è forse la più narrativa, ma, allo stesso tempo, paradossalmente, la meno decifrabile di tutta la mostra, anche per il taglio adottato. Il medium scelto (la fotografia), lo stile e l’inquadratura delle immagini, infatti, concorrono a rendere la tua opera fra le più stimolanti della mostra. Osservandola, mi vengono in mente cinque parole (tutte connesse al mondo femminile): dinamicità, multiculturalità, autonomia e forza. Ci vuoi raccontare meglio come è nato il tuo progetto artistico e cosa tratta, effettivamente, ‘Filo Rosso’, partendo anche dal titolo che hai scelto per l’opera?”
- P. Ciò che mi piace della fotografia è la progettualità e l’istinto racchiusi in un solo scatto. Prima di intraprendere un progetto l’occhio non si affida solo alla casualità, ma cerca continuamente qualcosa da “catturare” in un istante. Il significato e il senso di ciò che si immortala arrivano solo dopo, quando la potenza dell’immagine e la sensibilità di chi guarda rendono quel qualcos’altro che non ci aspettavamo di vedere nel momento in cui abbiamo scattato. È esattamente quello che è successo a me con “Filo rosso”. Ogni foto ha una vita propria e ognuna è nata in momenti completamente diversi così inizialmente non avevo immaginato una composizione. Il tutto prende vita dall’immagine centrale della ragazza dai capelli rossi, non per importanza ma perché dà vita e movimento a tutte le altre insieme. Mi piace pensare che ci sia una sorta di coreografia e ritmo in quello che “dico” perché la fotografia inizialmente transitoria, quando è pervasa da un significato profondo è capace di catturare un momento che sia eterno e anche se scattata nella fuggevolezza di un momento spontaneo, quel sentimento può assumere ogni dimensione temporale.
Così il titolo nasce solo alla fine perché viene fuori dalle immagini, dai colori e dalla loro coesione, prende forma dalla scia rossa che lascia la ragazza egiziana che si congiunge con la fiamma dei capelli rossi diventando il “filo” che collega tutte le donne che ho rappresentato. Quello che voglio far vedere è l’essenza stessa della donna, il suo profumo, il suo respiro, il suo essere presente nell’aria e percepibile inconsciamente in ogni situazione luogo e persona, donna o uomo. È un modo di essere, appunto un “filo” che non finisce mai e si dipana continuamente. Ogni donna per quanto diversa possa essere, per cultura, razza, età ecc, è legata all’altra essenzialmente dalle emozioni che prova come insicurezza, paura, confusione, disperazione, speranza e forza. Ogni donna che ho “catturato” rappresenta un’emozione diversa e ognuna rappresenta non solo se stessa ma tutte le donne. Con questo non voglio nascondere o negare l’individualità, ma al contrario ognuna di noi dà corpo all’ideale di femminilità. Credo fortemente che la donna sia forte per la sua capacità di affrontare il mondo da sola, non a caso per questo è continuamente fonte di ispirazione e il suo essere governa tutte le situazioni, infatti sempre nell’immagine centrale, la ragazza pur non vedendosi c’è e la sua presenza è forte tanto quanto tutto ciò che le circonda. Questa è la donna.
Claudia Nuccetelli: “Claudia, se dovessi selezionare il lavoro che, a mio parere, meglio esprime le caratteristiche di questa mostra, il tuo sarebbe certamente nella rosa dei finalisti. ‘Altrove’, infatti, racchiude in sé gran parte dello spirito di questa rassegna: dal concetto di multiculturalità, evocato in parte dai tratti negroidi del personaggio ritratto e dallo stile, fino all’idea della donna come ‘madre-terra’, cui allude l’elemento che circoscrive il volto della donna, che ricorda la corteccia dell’albero, resa con un signum incisivo e potente. A questo riguardo, anche la scelta del ‘taglio’ appare particolarmente interessante: l’inquadratura mette infatti in rilievo alcuni particolari, come lo sguardo e la bocca. Cosa si cela dietro questa scelta? E cos’è, davvero, l’ ‘altrove’ di cui parli?”
Greta Colli: “Greta, il tema dell’affettività, della donna come fondamento, appoggio, dell’essere umano, assieme a quello della memoria, sembrano essere quasi predominanti nella tua opera, che comunque a ben vedere si caratterizza per una certa complessità linguistica e per i molteplici significati semantici che la sottendono. Come la contaminazione tra testo e immagine, tra comunicazione verbale e visiva. Per non parlare poi della sperimentazione tecnica, che ci riporta indietro nel tempo, a qualche esempio d’avanguardia, in particolare all’arte Dada. Partendo da questo presupposto, vorrei chiederti: quali riflessioni e ricerche si situano alla base di “Dedica” e a cosa si deve la scelta del tema?
- C. “Dedica nasce dalla voglia di unire la mia passione per la fotografia a quella della scrittura, un mezzo espressivo il più delle volte messo da parte quando si parla di arte. Sono convinta che la parola sia importante tanto quanto un’immagine, se usata nel modo giusto. Dedica vuole essere una dedica, appunto, a tutte noi donne; una sorta di cartolina senza indirizzo rivolta a ogni donna che porta con sé immagini di una vita, esperienze vissute, stanze riempite, mani che si uniscono. Il colore omogeneo ha la forma del ricordo, qualcosa che noi tutte conosciamo e che mai dimenticheremo”.
Maria Cristina Marmo: “Maria Cristina, partiamo dal soggetto: la maternità, tanto cara alla storia dell’arte e, nel tuo caso, trascesa in un’accezione quasi universale e cosmologica. Innanzitutto, perché proprio questo tema ? Infine, puoi chiarirci la relazione tra l’occhio (di Horus?) e l’iconografia materna? “
M.C.M.
La scelta iconografica del dipinto nasce da un mio sogno sull’immagine di una Madonna con il bambino.
Naturalmente ho rielaborato a mio modo, realizzando l’immagine legata a una visione più specifica sull’essere madre e su ciò che circonda questa esperienza e la sua unicità.
La maternità va oltre lo sguardo, oltre la vista di un qualsiasi essere umano, in quanto racchiude in sé sensazioni, emozioni primordiali, archetipi sepolti nell’intimo che prendono vita allo scoccare della vita stessa quando si inizia ad avvertire pienamente dentro di sé. L’occhio di Horus, alla base della composizione, è una rappresentazione simbolica, ma è anche il mio occhio, la consapevolezza che la donna ha assunto tramite la maternità. Il terzo occhio, che ha dato altre sensazioni e altre capacità per affrontare la vita; anche se è bendata la donna sa vedere e percepire il pericolo e la felicità, a occhi chiusi.
Fabio Vernile: “Fabio, in ‘Schiave’ affronti il tema della violenza sulle donne. A cosa si deve la scelta di questo soggetto? Inoltre, dal punto di vista stilistico, una piccola annotazione: emergono, nella tua opera, degli ‘stilemi fumettistici’, soprattutto per quanto attiene agli sfondi. Sono voluti? E quali sono stati, se esistono, i tuoi modelli di riferimento?”
F.V: Per il tema che ho scelto rispondo che ci troviamo continuamente ad affrontare la filosofia del “non nel mio giardino”, “finché non ce l’ho davanti non mi disturba”, per questo realizzo le mie opere in modo crudo, diretto, praticamente violento, contro un mondo infame ed egoista. Se si spendessero più soldi nell’istruzione, nella cultura e nelle infrastrutture dedicate al sociale, per non parlare poi di giustizia…. Invece si decide di tagliarle per un nuovo Panzer o Cacciabombardiere, sempre perché un popolo scemo è più facile da tenere al guinzaglio. Non ci vorrebbe poi molto a educare le nuove generazioni a rispettare non solo le donne, ma le altre culture, le inclinazioni sessuali, il patrimonio culturale. Un genitore può fare l’impossibile per istruire in modo adeguato i figli, ma se poi leggi che “branco” sevizia ragazza, e che la Cassazione dichiara “se l’atto sessuale effettuato con violenza è completo, allora la pena non è così grave”, puoi avere anche fatto una testa così a tuo figlio sul rispetto della legge e degli altri, ma se poi vede certe cose la domanda è “perché devo fare questa fatica”?
Per la parte stilistica si, tendo al fumettistico nella mia esecuzione; è stata mia madre ad insegnarmi a disegnare, ma come bravo maschietto non davo mai retta quasi a nulla, e avevo una passione per mostri e mutanti che ridisegnavo ad oltranza dopo che avevo visto un fumetto che mi infiammava, mi hanno segnato a vita, tanto che mi perdo in tanti particolari per le figure umane e tendo a semplificare al massimo quello che appare sullo sfondo. Quando dopo qualche tempo riguardo una mia opera, finisce sempre che mi dico “sistema quel palazzo sembra uno scatolone!”. Ho comunque spaziato su altre cose crescendo, ho una passione vera per il lavoro di Leonardo, Michelangelo e Caravaggio, nell’arte per me è essenziale, prima o poi l’esperienza mi premierà?
Ralf Trillana: “Ralf, potresti chiarirci la scelta iconografica, molto intrigante, di associare la figura di Ipazia, astronoma e filosofa del mondo greco antico, con l’immagine del dio sole, Helios? Inoltre anche nella tua opera, come in quella di Fabio Vernile, si notano dei caratteri di tipo fumettistico, soprattutto nel modo di trattare il volto femminile. Stilemi che, in qualche modo, ti avvicinano ad alcune ‘correnti’ artistiche di enorme successo fra i giovani: il ‘New Pop’ e il ‘Pop-Surrealismo’. Cosa ne pensi?
R.T.: Sono ancora ben lontano dal potermi definire appartenente alla ‘corrente’ New Pop/surrealista, nonostante lo stile, ricalchi esattamente il tipo di visione che ho, nei confronti della ‘realtà’ che mi circonda. Una passione, il fumetto, che mi accompagna sin dalla tenera età e che mi ha e tutt’ora stimola la mia creatività, seppur debba ancora crescere artisticamente. Riprodurre il vero, non rientra nei miei interessi, anche perché non ne vedo alcun senso, considerando che posso toccare con mano ciò che mi circonda. Affermazione azzardata, visto le mie basi classiche. D’altronde cos’è il New pop, se non un rivolgersi in chiave moderna al classico/grottesco, meno cristiana, ma visionaria in ugual modo. Il titolo: I giochi di parole mi hanno sempre divertito, forse perché sono ambiguo e anche un po’ malizioso. Ricercare cose, che magari per altri non hanno molto senso, mi da molta soddisfazione, geloso dei miei pensieri. Ipazia rappresenta perfettamente la figura, femminile, di conoscenza e ‘onniscienza’ paragonabile all’astro nascente, Helios, colui che osserva e vede tutto, abbinato anche all’arte, forma di creazione in tutti i campi. Lei ‘scienziata’ curiosa, scopritrice della teoria Eliocentrica, lui il sole, simbolo per la quale é stata uccisa. Una coppia perfetta. Sole, Helios, nome maschile, eppur stella fisicamente, astro abbinato ad un nome femminile, due facce della stessa medaglia. Ho immaginato la rinascita, morale e culturale di Ipazia come il Dio, che risorge ogni giorno, per illuminarci. Mi sono concentrato anche sulla centralità delle figure. Ipazia Helios e il centro, come insegnante, che illumina le menti e come donna, il centro della vita. Gira tutto intorno alla donna, nasciamo donne, ci ‘trasformiamo’ in uomini nel grembo materno. La mia mente, forse viaggia troppo di fantasia, ma vedevo un non so che di romantico in questa rappresentazione.
- On 21 Nov 2014